SISSA
ROCCA DEI TERZI
Probabilmente il castello a difesa del feudo di Sissa era già presente nell'XI secolo, forse lo stesso conquistato dai Terzi all'inizio del Trecento, munito al punto da resistere anche ai tremendi assalti dei Rossi all'inizio del secolo successivo, ma non allo smantellamento voluto dalla Repubblica di Venezia in seguito al suo intervento a sostegno dei Terzi (1424). Della costruzione primitiva venne mantenuto il mastio ma abbattute le mura, e ricostruito il tutto in chiave assai più residenziale nel 1440.
La rocca subì saccheggio nel 1551 durante nuovi scontri fra Rossi e Terzi, che videro la prevalenza ancora una volta di questi ultimi, destinati a governare su Sissa fino al 1758. Gran parte dell'aspetto attuale della rocca è frutto di una ristrutturazione settecentesca che ha collegato l'antico torrione-mastio cinquecentesco con i corpi residenziali laterali facendogli assumere l'aspetto di un palazzo signorile. Il mastio conserva ancora l'aspetto antico, con caditoi e beccatelli; è scomparso il ponte levatoio; le parti settecentesche si notano negli inserimenti in cotto (finestre, fasce marcapiano, scalette, bugnati).
Interventi di restauro recente sono avvenuti a livello della scala laterale a est (ricostruita negli anni '50 del XX secolo) e lo scalone d'ingresso, che nel 1986 è stato completamente rifatto in cemento armato e legno. All'interno si trovano vaste aule settecentesche con volte a vela e a crociera (una delle quali, con l'affresco del Giorno che scaccia la notte di Sebastiano Galeotti) funge da sala consiliare. Medaglioni ovali a soggetto mitologico corrono lungo le pareti dello scalone rifatto in marmo.
Al primo piano si trova l'atrio con un Ganimede rapito sul soffitto. Il resto delle decorazioni sparse sono lacerti. In una stanza è custodito un orologio esemplare di indiscusso valore, in ferro forgiato a due treni, restaurato e perfettamente funzionante: al tempo fu posto sulla torre e poiché a carica manuale richiedeva la presenza costante di un addetto. La campana dove batteva le ore è datata 1548 ma l'orologio è senza dubbio di parecchi anni più vecchio.
(Tratto da http://turismo.parma.it )
ROCCABIANCA
CASTELLO DI ROCCABIANCA
Il Castello di Roccabianca fu costruito attorno alla metà del '400 per l'amata Bianca Pellegrini dal Magnifico PierMaria Rossi. Recenti restauri hanno messo in evidenza pregevoli decori a fresco, stemmi araldici nel porticato antistante la famosa Camera di Griselda con la ricostruzione moderna del ciclo pittorico ispirato alla centesima novella del Boccaccio.
Il Castello ospita il Museo della Distilleria. Il Castello realizzato da Pier Maria Rossi per l"amata Bianca Pellegrini alla metà del XV secolo, passò subito dopo ai Pallavicino e, più tardi, ai Rangoni. Nel 1831 il Castello di Roccabianca viene avocato da Maria Luigia alla Camera Ducale, nel 1901 fu ceduto alla famiglia Facchi di Brescia e da questa al cavalier Mario Scaltriti, che ne ha fatto la sede per l'invecchiamento dei distillati dell'azienda di famiglia e ne ha promosso il restauro e l'apertura al pubblico dopo anni di abbandono.
Sovrastano la struttura del Castello, possente e quadrata, il mastio e due torri angolari. Gli interventi di restauro condotti nelle sale dei Feudi, dei Paesaggi, dei Quattro Elementi e nella sala Rangoni, hanno messo in evidenza un notevole apparato di decorazioni.
(Tratto da www.castellidelducato.it )
ZIBELLO
PALAZZO PALLAVICINO O PALAZZO VECCHIO
II palazzo che si affaccia sulla piazza del paese, chiamato Palazzo Pallavicino, è in realtà un edificio formato da due corpi con caratteristiche palesemente diverse, anche se perfettamente accostati l'uno all'altro. La parte più antica, nella quale esercitava il suo ufficio il podestà, e quella rivolta a nord-est: lo dimostrano la maggior elevazione ed ampiezza degli archi e la ornamentazione, in terracotta e in calce, degli archi stessi e delle finestre tipica dell'esuberanza decorativa del gotico fiorito. Anche le formelle fittili sono diverse nei motivi e nelle combinazioni da quelle che decorano la facciata e l'interno della chiesa parrocchiale dedicata ai S.S. Gervaso e Protaso, che provengono sicuramente dalla fornace del cremonese Rainaldo de Stavoli, entrato in rapporti con i Pallavicino, a quanto sembra, solo dopo il 1470.
E' probabile, dunque, che questa parte dell'edificio sia stata portata a termine nel primo ventennio della signoria del marchese Giovan Francesco seniore. L'altra parte del fabbricato, la cui struttura architettonica pur gotica trapassa nella compostezza del Rinascimento (l'ogiva degli archi del portico, per esempio, e più tozza e la decorazione fittile molto piu sobria) risale all'epoca di Clarice Malaspina, vedova del marchese Federico Pallavicino, che ne ordinò la ristrutturazione nei primi anni del Cinquecento. Nei documenti del XVI secolo è chiamato Palazzo Vecchio per distinguerlo dal Palazzo Nuovo (oggi casa Gardini-Guatelli), edificato più tardi, di fronte alla chiesa parrocchiale. I pilastri che sorreggono la caduta degli archi hanno forma ottagonale con capitello a scudo e su alcuni di essi si leggono, sotto forma di graffiti, scritte che ricordano eventi singolari accaduti nei corso dei secoli.
Sotto i portici si trovano, come da tempo immemorabile, i negozi, soprattutto di generi alimentari (la beccaria, il pristine e l'osteria di un tempo), mentre al primo piano, sopra la zona occupata dal ristorante Leon d'Oro, è situato il Teatro. Un piccolo teatro, aperto al pubblico nei 1804, ma che per circa un secolo e mezzo è stato il punto di riferimento di tutte le manifestazioni culturalmente importanti tenutesi a Zibello. La sua struttura presenta le caratteristiche tipiche di molti teatri sorti in Italia tra Sei e Ottocento: pianta a ferro di cavallo, palcoscenico ben separato dalla sala, forma a pozzo con pareti traforate da numerosi palchetti. Originariamente era costituito dalla sola platea e dal palcoscenico. Nei 1827, venne costruita una fila di 13 palchi e nei 1913 venne realizzato il loggione. Oggi il teatro è inagibile e attende di essere restaurato.
CHIESA PARROCHIALE DEI SANTI GERVASO E PROTASO
Questa chiesa è il più insigne e il più perfetto dei monumenti Gianfranceschiani e uno dei più begli esempi d'architettura gotico-lombarda della nostra zona. Si cominciò a costruirla nell'ultimo quarto del secolo XV, ma venne consacrata molto tardi (nel 1620). Essa sostituì nelle funzioni di parrocchiale la piccola chiesetta, dedicata anch'essa ai SS. Gervaso e Protaso, situata fuori le mura del castello. L'imponente complesso architettonico presenta una facciata in mattoni sormontata da cuspidi; sia la parte mediana sia le parti laterali sono delimitate da pilastrate, che tendono ad evidenziare la suddivisione dell'edificio in tre corpi, suddivisione alla quale corrispondono, all'interno, tre navate.
Un elegante rosone sovrasta l'ampio portale centrale; mentre sopra i due ingressi laterali si aprono due alte monofore terminanti con archi a sesto acuto. Ai lati del grande portale sono state ricavate, nel secolo scorso, all'interno delle due lesene, le nicchie per accogliere le statue di San Pio V e Santa Rosa, provenienti dalla chiesa, oggi non più esistente, dell'antico convento dei Domenicani. La suggestione, che l'esterno della grande fabbrica suscita in chi la guarda, aumenta non appena ci si trova all'interno.
La navata centrale, maestosa e sobria nel contempo, riceve luce dal rosone della facciata e da bifore che si aprono al di sopra di ognuna delle tre grandi arcate ricadenti su poderosi pilastri. La spinta ascensionale risulta accentuata dal sesto acuto delle arcate stesse e dall'altezza delle volte a vela del soffitto, tutte ornate dal tipico costolone. Le navate laterali, più strette e basse, suddivise in sei campi di volta, appaiono armonicamente raccordate a quella centrale. La zona absidale, che esternamente assume forma poligonale, è occupata da tre cappelle. La canonica fu eretta nel 1673, ma poi perdette il suo aspetto suggestivo ed armonico dopo le modifiche degli anni '50. Il campanile seguì nel 1677, e fu eretto per opera di don Gardini, a spese della Comunità e della Confraternita del SS. Sacramento.
(Tratto da www.comune-zibello.it)
POLESINE PARMENSE
CHIESA PARROCCHIALE DEI SANTI VITO E MODESTO MARTIRI
Di Polesine ne esistevano una volta due: Polesine dei Manfredi, situata presso Stagno Parmense, Polesine di S. Vito, l’odierna; l’una con chiesa dedicata a S. Martino sottoposta alla pieve di S. Genesio (S. Secondo) in diocesi di Parma; l’altra con chiesa dedicata ai Ss. Vito e Modesto sottoposta alla pieve di Cucullo (Pieveottoville) in diocesi di Cremona. Polesine dei Manfredi scomparve per erosione del Po. L’ultimo atto che faccia esplicito riferimento al paese è del 12 luglio 1299 e riguarda il pagamento di dazi al vescovo di Cremona, che nella zona esercitava anche il potere temporale.
I riferimenti all’altra Polesine, quella di S. Vito, sono numerosi a decorrere dal 1186, ma in nessuna delle pergamene comunali pubblicate è citata la sua chiesa, che tradizionalmente è ritenuta di antica fondazione. E’ soltanto nella bolla di Eugenio IV del 9 luglio 1436 che essa figura per la prima volta accanto alle altre chiese della diocesi cremonese sottoposte alla collegiata di Busseto, eretta su istanza di Orlando Pallavicino, feudatario del luogo, e da questi largamente beneficiata. Da notare che, costituitosi nel 1457 il feudo di Polesine è assegnato a Gian Manfredo nella divisione dello Stato Pallavicino tra i numerosi figli del predetto Orlando è la chiesa del paese. Rimase una semplice rettoria anche dopo l’erezione della diocesi di Borgo San Donnino; divenne arcipretura nel 1753. Nondimeno i Pallavicino fecero ricostruire la chiesa e donarono ad essa arredi, sacre suppellettili e la pala dell’altare maggiore.
La parrocchia ebbe inizialmente una giurisdizione territoriale ragguardevole che si estendeva anche nell’Oltrepò cremonese. Comprendeva pure la frazione di S. Franca, che per decreto vescovile del 7 dicembre 1938 ne fu stralciata e assegnata a Vidalenzo. Per decreto vescovile del 20 gennaio 1962 furono però aggregate alla giurisdizione ecclesiastica di Polesine le località Motta e Consolatici Inferiore, sottratte a S. Croce.
(Tratto da www.webdiocesi.chiesacattolica.it )